Nel cuore dell’Europa che si commuove per ogni comma e predica sobrietà con la voce rotta dall’emozione istituzionale, c’è chi ha trovato il modo di fare shopping ideologico a spese nostre. Non con il proprio portafoglio, ma con i fondi pubblici. E adesso è partita un’indagine. Sì, una vera. No, non quella giornalistica “politicamente motivata”: stavolta è l’EPPO, l’Ufficio del Procuratore Europeo.

Cos’è l’EPPO? 

Per chi ancora spera, è l’ultimo baluardo di decenza contabile: un organo indipendente dell’Unione che indaga su frodi, sprechi e abusi che colpiscono il bilancio europeo. Tradotto: serve a capire chi ruba, chi spreca e chi si “autofinanzia” con i soldi di tutti.

Secondo un audit interno del Parlamento europeo — uno di quei dossier scritti per essere ignorati ma che stavolta è filtrato ai media — tra il 2019 e il 2024 un gruppo politico oggi sciolto (ma comodamente reincarnato con un nuovo logo) avrebbe speso più di 4,3 milioni di euro in modo… fantasioso.

Cosa significa “modo fantasioso”? Ecco un piccolo estratto — una degustazione di euro-spreco:

scuola dell’infanzia paritaria (quindi non pubblica, il privato ha bisogno di soldi), Lions Club, all’associazione “Help Ralph’s Friends”, per la tutela di cani e gatti randagi.

Li vedete voi i legami “coerenti con i temi dell’integrazione europea”? No? Nemmeno noi.

Una rete di micro-finanziamenti a pioggia (e senza pudore)

Ma non è finita: l’audit parla di una vera rete di micro-donazioni distribuite in tutta Europa, verso soggetti locali che nulla hanno a che fare con le attività politiche del Parlamento come per esempio la federazione austriaca di karate tradizionale.

Bellissime cause, per carità. Ma cosa ci azzeccano con l’uso regolamentato dei fondi UE, che dovrebbero servire a promuovere informazione politica, consapevolezza democratica e dibattito sull’integrazione europea?

Risposta: niente. Ma fanno comodo quando c’è da fare scena in aula.

Beneficenza con la carta di credito del cittadino

Quando si avvicina la scadenza elettorale un eurodeputato racconta con voce rotta che “ha sostenuto un’iniziativa sociale nel proprio territorio”. Video con Inquadratura stretta, hashtag empatici, musica di sottofondo e magari l’immagine dell’assegno consegnato.

Il cittadino, ignaro, guarda e si commuove. E li ringrazia pure.

Peccato che non sappia una cosa: quella beneficenza non l’hanno fatta con il loro stipendio, ma con i soldi pubblici, presi da un fondo del Parlamento europeo.

In pratica, fanno beneficenza col nostro portafoglio e ci vendono pure la narrazione del gesto eroico.

Non altruismo. Propaganda elettorale travestita da solidarietà. E funziona. Perché l’illusione, come sempre, è più fotogenica della verità.

Peccato che quei soldi non siano mai i loro: Sono nostri! bisogna ripeterlo e ripeterlo più volte!

Provengono da un fondo speciale del Parlamento: fondi pubblici, destinati — almeno sulla carta — a promuovere l’attività politica a livello europeo. E invece diventano la moneta per la beneficenza elettorale: un assegno gigante da consegnare all’associazione del proprio territorio, col sorriso smagliante e il cameraman già pronto. È marketing. Generosità in outsourcing, a spese nostre.

Tutto regolare. Ma non troppo.

E mentre loro parlano di trasparenza, etica, sobrietà, i dossier volano, le email si moltiplicano, e qualcuno si ostina a fingere che sia tutto normale. Lo fanno da decenni. Ma oggi qualcosa è cambiato: c’è una vera inchiesta, e non parte da un’invettiva da talk show, ma da un procuratore europeo che bussa alle porte giuste con discrezione e una pila di documenti.

Nessuno è stato ancora accusato formalmente. Giusto. Lo Stato di diritto resta sacro. Ma la domanda resta è: perché chi grida contro l’Unione finisce con le mani nei fondi dell’Unione?

Quelli che chiamano Bruxelles una “gabbia” ci hanno costruito dentro la loro carriera.

Quelli che denunciano l’oppressione fiscale hanno firmato ricevute e incassato rimborsi con entusiasmo.

Quelli che si dicono “antisistema” sono il sistema. Solo più voraci, più cinici, più rapidi nel cambiare sigla quando il bilancio comincia a puzzare. Sono sciacalli!

E il Parlamento, il grande tempio della trasparenza europea?

Firma. Archivia. Fa finta di niente.

“Fiducia dei cittadini”, dicono. “Responsabilità democratica”. E poi, nel retrobottega, chiudono un occhio. A volte due. Dipende dalla convenienza politica del momento. Ricordate il Qatargate? si diceva fossero impiegate più di 60 persone tra Parlamento e Commissione. Non se ne sa più nulla. E Huawei? dipende dal voto di scambio del momento. 

Nel frattempo, il cittadino — quello vero — lavora, paga, crede.

Nel progetto europeo, nei valori condivisi, nell’idea che “questa volta sarà diverso”.

E invece no. Anche stavolta, paga tutto lui:

  • la beneficenza-trucco,
  • le consulenze farlocche,
  • gli assegni “per la comunità”.

Lui paga.

Loro riscuotono visibilità.

E nel frattempo, ci spiegano cos’è la “sobrietà”.

Benvenuti nel Parlamento delle mani bucate. Ma con le dita ben salde sul portafoglio altrui.

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